domenica 17 gennaio 2016

Ventidue (9)

Mi sveglio da un sonno profondo e senza sogni, stanca come se non fossi mai andata a dormire. La sera precedente è un ricordo vago, ancora avvolto nelle nebbie dell’incoscienza, fin quando non mi alzo e mi dirigo in bagno.
Realizzare che quello che mi fissando a bocca aperta è il mio riflesso nello specchio, è uno shock: non sono io, penso, non posso esserlo. Non con quelle labbra gonfie e quel livido sullo zigomo!
Rimango un attimo attonita, poi faccio un respiro profondo e prendo il flacone del fondotinta.

La giornata trascorre abbastanza pigramente, come una qualsiasi giornata di fine anno scolastico per una che non ha paura della bocciatura. Compagni e professori si soffermano per un momento con lo sguardo sul mio volto ma, un po' per sano disinteresse e un po' perché Santa Shiseido è con me e nasconde il peggio alla vista, passano oltre senza fare domande. Tempo un'ora e non mi ricordo nemmeno più di avere dei segni.

Tornando a casa, vengo improvvisamente assalita dall'ansia. I battiti accelerano, il respiro si fa affannoso, comincia a girarmi la testa. Che succede?

Cerco di tranquillizzarmi e, concentrandomi sul ritmo di inspirazione ed espirazione, riporto il panico al di sotto dei livelli di guardia.
Mangio da sola davanti alla televisione, come al solito, poi entro in camera e do un occhiata all'agenda. Non ho niente di urgente, per domani, ed anche se ce l'avessi non sarebbe così urgente. Decido di passare il tempo leggendo il manga che ho comprato ieri, tornando da scuola, ma ho lasciato a metà per andare al lavoro.

Buffo come sia stato solo ieri, eppure mi sembrino trascorsi interi secoli da allora; a dirla tutta, mi sembra di non essere nemmeno più la stessa persona che ha acquistato questo volumetto che tengo in mano.
Mi sento distaccata da tutto, esule in un mondo che non mi appartiene, sebbene sia circondata dalle cose che chiamo mie.
È una sensazione strana, come un fluttuare morbido al di sopra delle miserie umane. Non cessa nemmeno quando, con un'occhiata all'orologio, noto che è ormai ora di alzarsi dal letto su cui mi ero sdraiata per leggere e sono invece rimasta a fissare la copertina del fumetto.
Mi vesto canticchiando, cosa insolita per me che voglio sempre, disperatamente, apparire al meglio. Anziché tirare fuori mezzo armadio e spulciare alla ricerca di qualcosa che mi faccia sentire meno goffa, meno brutta, meno me, vado dritta a prendere una blusa e un gonna svasata e le indosso. Abbino un sandalo con la zeppa non altissima e vado in bagno a truccarmi, gettando uno sguardo allo specchio del corridoio mentre passo. Non posso fare a meno di sorridere per il risultato, mi piaccio.
Esco di casa e mi tuffo nel sole pomeridiano, con l’animo più leggero che mai. Quando ho deciso che avrei accettato il bizzarro invito di Alessandro? In realtà, non è stata una vera e propria decisione. Lo sento ineluttabile, scritto, come se nemmeno si possa immaginare un universo in cui io non vado da lui. Non è una cosa giusta, né tantomeno una cosa sbagliata… semplicemente, è.
Qualsiasi dubbio, qualsiasi interrogativo che mi porrei in un altro momento, adesso non mi sfiora neanche. Sono in un vero e proprio stato di grazia.
Arrivata davanti all'ingresso posteriore della casa di Edo e Alessandro, vedo quest’ultimo in piedi davanti al cancello chiuso e mi avvicino. Mi sta aspettando? Ha gli avambracci appoggiati sul ferro battuto; assomiglia più ad un disperato in carcere che al ricco figlio di due medici ma è stato gentile, ad attendermi addirittura in giardino. Ci guardiamo negli occhi senza parlare finché non sono proprio di fronte all’ingresso, poi lui apre il cancello e si sposta per farmi passare avanti. Mentre cammino davanti a lui, sento uno sguardo di ghiaccio piantato sulla nuca. Gentile, come no.
Una volta entrati nella casa, rimango incerta su che direzione prendere, quindi rallento visibilmente l’andatura. Da quel punto in avanti, mi guida lui, sempre senza parlare. Basta la semplice pressione della punta delle sue dita sulla schiena, a metà tra la carezza e la spinta, a guidarmi nel dedalo di corridoi e sale di quell'enorme villa.
Saliamo insieme quella che mi sembra un’infinità di scale e arriviamo alla mansarda. Ho una battuta d’arresto quando vedo la porta in cima all'ultima rampa. Il pesante chiavistello metallico, il legno massiccio lasciato volutamente grezzo, urlano “serial killer” lontano un miglio; le mie gambe si bloccano per un momento, rifiutandosi di continuare.
La pressione sulle vertebre si trasforma in una vera e propria spinta, Alessandro somma alla mano destra sulla mia schiena la forza dell’altra sul fianco e mi obbliga a salire gradino dopo gradino.
Una volta in cima spalanca la porta e con un ultimo spintone mi butta dentro la stanza, richiudendosi poi l’uscio alle spalle dopo essere entrato. Mentre lui chiude a chiave, io mi guardo intorno osservando il mobilio. Mi aspettavo qualcosa tipo catene appese alle pareti e strumenti di tortura sparsi in giro, ma non c’è niente di tutto ciò. L’unica cosa classificabile come vagamente inquietante è il grosso orologio digitale appeso alla parete, il resto è praticamente uguale alla stanza da letto di Edoardo. Mi do della stupida, mi rilasso e mi ricompongo.
Quando mi volto di nuovo verso Alessandro, lui mi sta ancora fissando, come non ha mai smesso di fare da quando sono arrivata.
- Delusa? - mi chiede.
- Un po’ - Rispondo io, distogliendo lo sguardo con una risatina di imbarazzo. Ed è vero. Pur essendo sollevata perché non c’è alcun pericolo, sono al tempo stesso delusa dal fatto che non ci sia pericolo. Perché, se Alessandro non è un oscuro predatore a cui le ragazzette indifese come me non possono resistere, allora è solo il fratello del mio fidanzato ed io sto solo facendo la zoccola.
La tremenda verità di questa affermazione mi assale e comincio a chiedermi che ci faccio qui, perché ho accettato di venire e come faccio a trarmi da questo impaccio, considerando che la porta è chiusa a chiave e che chi l’ha chiusa si sta avvicinando a me con fare per nulla rassicurante e mi sta prendendo di nuovo il viso tra le mani per fissarmi negli occhi. La risata di poco prima mi muore in gola.
- Cominciamo a mettere le cose in chiaro, bellezza. Quando sei in mia presenza, non voglio sentire battutine, non voglio sentire risatine di scherno, non voglio nessuna ironia o sarcasmo.
E soprattutto, ogni tua frase diretta a me deve concludersi con “Padrone”. Perché se non esci subito da quella porta è questo che vuoi che io diventi, il tuo padrone, e ogni violazione delle mie regole comporterà una punizione. Sono stato chiaro? -
Le sue mani sono ancora sul mio viso e, per andarmene, dovrei scostarle e dirigermi verso la porta. Ma, se devo essere onesta con me stessa, non sono certa di volerlo fare. Sono io la prima ad essere stupefatta, il mio orgoglio grida - “Le punizioni gliele dai a tua sorella, padrone di ‘sto cazzo!!” - eppure Alessandro ha messo le carte in tavola, e a me piacciono le persone dirette. A conti fatti, non è il primo che voglia controllarmi, impedirmi di fare questo o quello, non credo nemmeno che sarà l’ultimo; però, almeno lui non ne fa mistero e non agisce in maniera subdola: ha dettato subito le sue condizioni, se ne infischia del fatto che io potrei ritenerlo uno psicopatico, uscire di qui e raccontare tutto al fratello. Mettiamoci anche che è bello, sicuro di sé e il mio corpo reagisce alla sua presenza come una falena reagisce ad una candela accesa, per carità. Alla fine, però, se dovessi dire cosa mi affascina di questo ragazzo, sarebbe il metodo che colgo in questa follia.
Riluttante, mi sciolgo dalla stretta e mi muovo comunque verso la porta, allungando la mano verso il chiavistello.
È comunque uno che mi ha morsa, picchiata e spogliata la prima volta che ci siamo incontrati. Un tipo a dir poco inquietante dal quale non credo che ci si possa aspettare nulla di buono. Il mio fidanzato, invece, è un bravo ragazzo che non si merita che io gli faccia una cosa del genere. Mi ama e non farebbe mai niente che mi possa fare del male.
Eppure non mi decido a far scattare la serratura. Non so bene cosa mi trattenga: a rigor di logica, la mia decisione è la migliore che si possa prendere.
- Ascolta, sto insieme a tuo fratello, non è proprio il caso che questa cosa continui… Dimentichiamocene, ok? Ognuno torna alla propria vita e continua come se non fosse successo niente… -
Mentre lui copre la distanza tra noi a grandi passi e mi afferra per lo scollo della blusa, mi chiedo quanto del mio discorso sia effettivamente arrivato al destinatario. Ed al contempo sono compiaciuta dal fatto che sì, alla fine l’oscuro predatore è arrivato.

domenica 10 gennaio 2016

Ventidue (8)


Mi sveglio da un sonno profondo e senza sogni, stanca come se non fossi mai andata a dormire. La sera precedente è un ricordo vago, ancora avvolto nelle nebbie di Morfeo, fin quando non mi alzo e mi dirigo in bagno.

Capire che questo è il mio riflesso nello specchio è uno shock: non sono io, penso, non posso esserlo. Non con quelle labbra gonfie e quel livido sullo zigomo!
Rimango attonita per un momento, poi faccio un respiro profondo e prendo il flacone del fondotinta.

La giornata trascorre abbastanza pigramente, come una qualsiasi giornata di fine anno scolastico per una che non ha paura della bocciatura. Compagni e professori si soffermano per un momento con lo sguardo sul mio volto ma, un po' per sano disinteresse e un po' perché Santa Shiseido è con me e nasconde il peggio alla vista, passano oltre senza fare domande. Tempo un'ora e non mi ricordo nemmeno più di avere dei segni.

Tornando a casa, sono improvvisamente assalita dall'ansia. I battiti accelerano, il respiro si fa affannoso, comincia a girarmi la testa. Che succede?

Cerco di tranquillizzarmi e, concentrandomi sul qui e ora, riporto il panico sotto i livelli di guardia.
Mangio da sola davanti alla televisione, come al solito, poi entro in camera e do un’occhiata all'agenda. Non ho niente di urgente, per domani, e anche se l’avessi, non sarebbe così importante. Decido di passare il tempo leggendo il manga che ho comprato ieri, ma ho lasciato a metà per andare al lavoro.

Buffo come sia stato solo ieri, eppure mi sembrino trascorsi interi secoli da allora; a dirla tutta, mi sembra di non essere nemmeno più la stessa persona che ha acquistato questo volumetto che tengo in mano.

Mi sento distaccata da tutto, esule in un mondo che non mi appartiene, sebbene sia circondata dalle cose che chiamo mie.

È una sensazione strana, come un fluttuare morbido al di sopra delle miserie umane. Non cessa nemmeno quando, con un'occhiata all'orologio, noto che è ormai ora di alzarsi dal letto su cui mi ero sdraiata per leggere e sono invece rimasta a fissare una copertina.

Mi vesto canticchiando, cosa insolita per me che voglio sempre, disperatamente, apparire al meglio. Anziché tirare fuori mezzo armadio e spulciare alla ricerca di qualcosa che mi faccia sentire meno goffa, vado dritta a prendere una blusa e una gonna svasata e li indosso. Abbino un sandalo con la zeppa non altissima e vado in bagno a truccarmi, gettando uno sguardo allo specchio del corridoio mentre passo. Non posso fare a meno di sorridere per il risultato, mi piaccio.

Esco di casa e mi tuffo nel sole pomeridiano, con l’animo più leggero che mai. Quando ho deciso che avrei accettato il bizzarro invito di Alessandro? In realtà, non è stata una vera è propria decisione. Lo sento ineluttabile, scritto, come se nemmeno si possa immaginare un universo parallelo in cui io non vado da lui. Non è una cosa giusta, né tantomeno una cosa sbagliata… semplicemente, è.