giovedì 29 maggio 2014

Ventidue (7)

- Edoardo non è qui - risponde lui con quella voce suadente e letale, catturando il mio sguardo con i suoi occhi rapaci. 
- Ma tu sì. -
- Già - faccio io, consapevole di riuscire stupida nel dirlo - Però, visto che ero passata per lui... -
Lui si sta avvicinando a me a lunghi passi lenti, ed io di riflesso indietreggio.
- ...a questo punto io... -
Ancora lui avanza, e ancora io arretro per mantenere il distacco.
- ...credo sia meglio...-
Un altro passo. Continuiamo a fissarci.
- ...andare. -
Arrivata alla fine del salottino, non potrei indietreggiare ancora neanche volendo. Premo la schiena contro il muro nel disperato tentativo di mettere più centimetri possibile tra me e lui, ma continuo a tenere gli occhi in quelli di lui, che mi fissa gelido.
- Tu non vuoi andare da nessuna parte, vero? - Trasalisco, e ciò gli basta come risposta. Si china su di me ed io, istintivamente, alzo il mento per andargli incontro. Attraverso le ciglia vedo le sue labbra schiudersi ed avvicinarsi sempre più alla mia bocca, sento la sua mano passarmi dietro la nuca e tenermi la testa, quindi protendo le labbra, pronta per un bacio appassionato. Il dolore mi colpisce come una scarica elettrica, facendomi sgranare gli occhi e riscuotere dal torpore.
-Ahi!- con le mani faccio leva sul suo torace e lo allontano da me. Lui ha ancora i denti serrati sul mio labbro inferiore e lo tira leggermente prima di lasciarlo andare.
Un morso. Questo stronzo bastardo mi ha morso. E forte!
Lo guardo, un sorriso gli attraversa il viso come un fulmine e con altrettanta velocità la mano, che prima mi bloccava la nuca, carica all'indietro e si abbatte su di me. A questo punto io, appoggiata con la spalla e la tempia alla parete dove sono andata a sbattere per il contraccolpo, sono a dir poco scioccata. Mi porto la mano al viso, sento la bocca spalancarsi per il bruciore e la sorpresa. Il dolore alla guancia e quello al labbro hanno fatto sparire ogni traccia del languore che mi aveva presa e portata ad avvicinarmi. Eppure, stranamente, non voglio restituire pan per focaccia. La mia indole combattiva, che più volte mi ha gettata in mezzo alle peggiori risse, adesso tace.
Mi volto a guardarlo di nuovo dritto negli occhi, senza parlare. Lui ha ancora quel sorriso, compiaciuto e sicuro di sé, le mani sui fianchi e l’espressione saputa, di chi si aspetta una crisi isterica e si prepara a rispondere con una presa in giro. Mentre ci fissiamo per lunghi istanti, il sorriso mi sembra spegnersi nei suoi occhi, per poi tornare a brillare, ancora più ampio di prima. Alza il braccio e afferra il collo della mia camicetta, afferrando il primo bottone.
Sbatto le palpebre, sento i muscoli irrigidirsi involontariamente, deglutisco, ma non mi muovo. Imperterrita, continuo a fissarlo mentre lui si trasforma in maniera quasi palpabile sotto i miei occhi: perde tutta l’allure di scherzo, smette di cercare di spaventarmi affinché io scappi come una bambina imbronciata. Le sue pupille si dilatano, gli angoli della bocca si sollevano ancora, storcendo il suo sorriso in un ghigno, le dita tremano impercettibilmente per la sferzata di adrenalina mentre allarga l’asola, per far passare il bottone.
Non l’ha ancora aperto e già realizzo quello che vuole fare, rendendomi vergognosamente conto che ho le mutandine completamente bagnate al solo pensiero. Voglio dire, ho davanti il fratello stronzo del mio fidanzato, questo mi tratta a morsi e schiaffi, poi dà a vedere che mi spoglierà e mi metterà le mani addosso e io che faccio? Non solo me ne sto zitta e ferma, vedo pure di facilitargli il lavoro. Sai mai che non riuscisse a scoparmi per bene, se fossi troppo asciutta.

Quale lurida cagna in calore si comporterebbe così? E se entrasse Edo? Oddio, se mi vedesse mentre mi faccio spogliare dal fratello… Dipingendo mentalmente la scena, ho una contrazione involontaria e gli umori oltrepassano la barriera delle mutandine ormai fradice, bagnandomi l’interno delle cosce.
Mi sottraggo alla fantasia e torno a concentrarmi sulla realtà. Alessandro mi ha ormai sbottonato completamente la camicetta, mettendo in mostra il reggiseno bianco sottostante, e mi mette le mani sui fianchi alla ricerca della cerniera della gonna. La trova e la apre completamente, abbassandomi la gonna e facendola scivolare a terra. Io comincio ad ansimare leggermente, per il contatto dell’aria fresca sulla pelle calda e nuda.
La sua espressione ha perso ogni traccia di allegria, è severa – distaccata, ad essere sincera – come se stesse eseguendo un compito imposto dall’alto. Mi guarda, mi ha guardata negli occhi tutto il tempo, ma più passa il tempo più mi sento una paziente davanti ad un medico, o un quarto di bue davanti ad un macellaio. La gonna viene raggiunta a terra dalla camicetta, che mi tira giù dalle spalle accompagnandola, per evitare che si incastri il polsino.
Per finire, porta un braccio dietro la mia schiena. Con un unico gesto fluido mi slaccia il reggiseno, facendo cadere anch’esso a terra nel mucchio di vestiti, e mi leva le mutandine afferrandole ai lati. Ormai sono nuda davanti ai suoi occhi, fatta eccezione per le decolleté mezzo tacco. Deglutisco rumorosamente, la respirazione accelerata, fissandolo mentre resto in attesa della sua prossima mossa. Per cingermi la schiena e togliermi il reggiseno, si è avvicinato abbastanza da permettermi di percepire il calore del suo corpo ed io sto letteralmente anelando di potermi appoggiare a lui. Se non altro, per avere una scusa per distogliere lo sguardo dal suo senza apparire debole.
E invece, lui fa un passo indietro. E mentre lo fa, torna il suo ghigno provocante che mi fa partire un brivido lungo la schiena.
Che diavolo gli prende adesso? Perché non mi salta addosso? Non mi vuole? Non gli piaccio? Il mio cervello è un assordante cicaleccio di interrogativi e di ingranaggi che girano vorticosamente. 

Su tutto quel baccano prevale però una vocina sottile, decisa. Non aprire bocca, sussurra.
Non aprire bocca e non interrompere il contatto visivo, o sarai persa per sempre.
Di solito sono cervellotica, penso troppo, parlo troppo. Ma quando l’istinto si fa sentire in maniera così netta, mi abbandono ad esso. E così stiamo lì, occhi negli occhi in un silenzio carico di sfida. 

Però potrei dire qualcosa. Dico qualcosa?
No, forse è meglio di no.
Però lui sì, potrebbe anche dire qualcosa.


E miracolosamente, alla fine, è davvero lui a parlare per primo, anche se quel che dice è forse più sorprendente di quanto ha fatto finora.
- Domani, davanti all’ingresso posteriore. Alle otto. –
Detto questo, si rabbuia in volto ed esce dalla stanza, richiudendo dietro di sé la porta nera.
Quanto sento lo scatto della serratura, le mie ginocchia cedono e mi accascio a terra.

Resto lì,ansimando bocconi come un naufrago sulla rena. I polmoni ormai mi bruciano per tutto il tempo che ho passato allacciata agli occhi di lui, dimentica persino di respirare.
Una volta recuperato un normale battito cardiaco, mi rendo conto di essere ancora nuda e allungo un braccio per riprendere i vestiti. Mi sento come se avessi mille anni, o avessi appena scalato l’Everest senza piccozza. O entrambi.
Il cicaleccio nella mia testa è ormai cessato, sostituito da un silenzio vacuo ed irreale. Mi concentro sul qui ed ora, sui gesti che sto compiendo per riuscire, finalmente, ad allontanarmi da questo posto maledetto: allaccia la camicia, infila le mutandine, prendi la borsa.
Accertatami di aver preso tutto, mi dirigo verso l’uscita percorrendo a ritroso l’ingresso, ora completamente deserto. Esco dal portone principale col mio passo più svelto, senza guardarmi indietro, e faccio ritorno a casa senza aver ancora avuto il coraggio di analizzare l’accaduto.
Mi sdraio, completamente sveglia e completamente vestita, sul mio letto singolo perennemente sfatto. E solo allora, al sicuro nella mia stanza, torna il vociare concitato dei miei pensieri. Che diavolo è successo là dentro? Edoardo dov’era?

Riapro gli occhi e fisso il buio davanti a me poi, con uno scatto, mi metto a sedere sul letto. Il mio telefono. Il mio telefono non ha squillato tutta la sera, ed io me ne rendo conto solo ora perché ero troppo presa dalle mie seghe mentali, per farci caso.
Scendo dal letto e mi metto a frugare nervosamente la borsa alla ricerca del cellulare, finché non lo individuo in un angolo tra la bustina dei trucchi e l’agenda. Guardo il display. Morto.
Inciampando nel disordine della stanza mi avvicino al comodino per prendere il caricabatterie, collego il telefono alla presa e lo accendo. Tempo di trovare la rete e mi arriva un messaggio:

Hi sweetie, xk nn risp? Cmq bad news :(
Stase doma e dopo vd in montagna
col vecchio, cive qnd torno!
Peccato T.T tat :*

Oltre a questo,  quattro o cinque messaggi della Vodafone che mi notificano chiamate a cui non ho mai risposto. Ops.
Mi ributto sul letto mentre le tessere del puzzle si ricompongono davanti ai miei occhi. Il padre di Edoardo aveva trasmesso al figlio l’amore per la natura, i boschi e i capanni di caccia stile “omaccione rude e virile”. Nonostante la madre disapprovasse, manifestando il suo disappunto con permanenze alla SPA lunghe quanto le loro in montagna, ogni occasione era buona perché sparissero dei giorni per tornare poi sudati, sporchi e carichi di lepri e fagiani.
Certo che, se la prospettiva di avermi nuda nel suo letto non riesce a battere quella di dormire in una baracca umida, non devo poi essere ‘sta gran gnocca di fidanzata, afferma la mia vanità ferita. Taci va, che è meglio così, le rispondo. Il problema è un altro.
Il vero problema è che domani non ci sarà nessuno in quella casa, tranne l’inquietante fratello maggiore del mio attuale ragazzo. Anzi: l’inquietante, violento, bastardo e super-sexy fratello maggiore del mio attuale ragazzo. E un maggiordomo connivente, a quanto pare.
Finalmente la stanchezza e la tensione della giornata hanno la meglio su di me e, sul cammino verso l’abbraccio di Morfeo, realizzo con un sorriso che almeno una cosa l’ho capita.

Devo lasciare Edo. Non esiste che mi molli qui per andarsene a sparare ai cinghiali.




martedì 20 maggio 2014

Ventidue (6)

Suono il campanello della principesca casa sul mare dove abita il mio fidanzato.
Mai avuti problemi di soldi, Edoardo. I suoi sono medici, lui è un promettente studente allo scientifico e nel suo destino è segnata un'altrettanto promettente carriera al Policlinico Universitario.
Cosa ci faccia con una povera spiantata come me, è ancora un mistero. Il fascino del diverso, forse, per uno che ha sempre frequentato la società "bene" e ha come amici i figli di notai, avvocati e dottori che abitano in ville algide e perfette, in tutto simili a quella che mi trovo di fronte, quasi fossero fatte con lo stampino. Niente a che vedere con il folklore ruspante dei quartieri popolari dove sto io, con i panni stesi come macchie di colore sui balconi e la vecchia pazza del quartiere che urla il suo sdegno verso l'attuale gioventù bruciata. Qui, i pazzi, li allontanano con discrezione per poi eliminarli a randellate.
I soldi vanno dove trovano sicurezza, ecco perché da me non vengono mai, penso con un brivido.

Il portone dinnanzi a me si schiude e il maggiordomo - il maggiordomo, capite? - mi lancia un'occhiata.
- Buonasera - esordisco timidamente.
Dannazione, Edo sapeva perfettamente che sarei venuta e a che ora sarei arrivata, perché non mi ha aspettata di sotto com'è suo solito? Avere a che fare con la servitù mi mette a disagio, visto che di solito sono io la servitù.
E adesso questo mi guarda e non parla, e ce l'avrà con me perché l'ho tirato giù dal letto ad un orario impossibile.

Resisto alla tentazione di abbassare lo sguardo per passare in rassegna i miei vestiti - ho ancora addosso la divisa del Blue Star, l'avrò mica sporcata pulendo la cucina? - e balbetto qualche altra frase sconnessa che, teoricamente, dovrebbe spiegare la mia presenza in quella casa a quell'ora con nessun altro tranne il mio fidanzato ad aspettarmi.
Non arrossire, mi ripeto, non arrossire. Arrossisco, anzi, avvampo, e il maledetto maggiordomo continua a guardarmi senza dire niente.

Prima che abbia terminato la mia spiegazione sui motivi che mi portano lì, comprendenti tra l'altro un rapimento alieno, una gomma bucata e un cane mangiatore di compiti, il maggiordomo (di cui, a questo punto, annoto mentalmente di chiedere il nome) si volta dandomi le spalle e con un secco: - Prego. - si dirige verso la porta, lilla, al centro dell'ingresso arredato in crema e lilla. La tiene aperta mentre la oltrepasso, ma non entra con me nella stanza successiva. Semplicemente, se ne va senza un'altra parola, richiudendo la porta alle mie spalle e lasciandomi sola nella stanza ad attendere.
In quest'altra stanza, non ero mai stata prima. Di solito, Edo mi fa entrare dall'ingresso laterale, e le rare volte che entro dal portone principale mi fa salire dalla scala sulla sinistra dell'ingresso, direttamente in camera sua. Mi piace questo salottino, però.
C'è un contrasto quasi stridente tra lo stile minimal, bianco e nero, imposto alle pareti, al pavimento e alle piccole suppellettili e l' opulenza dello stile barocco concesso al mobilio principale. Mi accomodo su una poltroncina bordata d'oro e, per passare il tempo, stempero con il freddo delle mani le mie guance bollenti e continuo ad osservare la stanza che mi affascina sempre di più con i suoi richiami cromatici.
Quattro porte, una al centro di ogni lato. Due, quella dalla quale sono entrata io e la sua gemella di fronte, sono dipinte della stessa tonalità oro richiamata dalle bordature del divanetto e delle poltroncine. Una è profilata di bianco, l'altra di nero. Le altre due porte invece, anch'esse una perfettamente di fronte all'altra, sono una bianca e una nera, con gli stessi profili d'oro. Questo smorza il contrasto delle forme, rendendo interessante per l'occhio quel che altrimenti sarebbe stato... noioso... molto noioso... e poi questa poltroncina è così comoda...

- Bene, bene, bene. Guarda un po' chi è venuto a trovarci -

Mi riscuoto dal torpore, devo essermi appisolata un attimo per la stanchezza della giornata. Sbadiglio, credendo di aver sognato la voce maschile che sembrava provenire dal fondo della mia coscienza.
Il rumore di una delle porte che si chiude mi fa drizzare i peli dietro la nuca: non ero sola nella stanza. Raggelo, non posso farne a meno, anche se sono consapevole di essere nella casa perfetta del mio perfetto fidanzato Edoardo, il luogo perfetto dove a nessuno può venir fatto alcun male.
Ma allora perché quella voce aveva un che di suadente e molto pericoloso allo stesso tempo?
Mi volto, il cuore che batte, l'adrenalina che scorre, come fossi una preda che si volta ad incontrare gli occhi del cacciatore. 
Appoggiato alla porta a fissarmi c'è un ragazzo alto, castano. Non è Edo, è meno alto e meno biondo, ma gli assomiglia tantissimo e non dev'essere molto più vecchio di lui - e di me.
Di sicuro è suo fratello Alessandro, penso. Mi ha parlato di un fratello maggiore, sui 25 anni. Il pensiero in sé mi tranquillizzerebbe, ma l'espressione rapace negli occhi di lui non fa altrettanto.
- Mi hai fatto spaventare - gli dico, ridacchiando - devo essermi addormentata mentre aspettavo Edo. Tu sei Alessandro, vero?
Edo dov'è? -

No, non sono per niente tranquilla. Anzi, ho i sensi all'erta come prima di un decollo. Mi alzo dalla poltroncina e realizzo che mi sto preparando alla fuga.

Perché sai, il BDSM è una questione di cervello

[20/05/2014 00.36.08] *****: Ti piace farti sottomettere

[20/05/2014 00.41.17] L'Hédoniste: Beh, non nego di provare un certo gusto per il dolore, ma mi manca la testa per fare la schiava. Mi rifiuto di perdere il controllo della situazione in favore di chicchessia. Poi, se si vuol giocare a legare le mani e bendare gli occhi, ci posso pure stare… ma sarebbe un patteggiamento e una vera slave non patteggia, si sottomette di buon grado.

[20/05/2014 00.42.01] *****: comunque sai di essere switch?

[20/05/2014 00.53.02] L'Hédoniste: lo dici come se fosse una malattia! Comunque, vale anche se ho finito per ribaltare il mio rapporto master/sottomessa e l'ho praticamente fatto diventare una dominazione dal basso?

[20/05/2014 00.53.59] *****: Cioè?


Vabbé.
BRAINADE! the Brain Grenade by Emilio Garcia
A dopo, con il seguito di Ventidue!

giovedì 15 maggio 2014

Ventidue (5)

Con la mia collega Romina, il rapporto è poco più profondo di quello tra due conoscenti. Non c'è nessuna particolare intesa o confidenza, quindi chiacchieriamo un po' del più e del meno spaziando su vari argomenti di nessuna importanza: vestiti, make-up, conoscenze comuni.
Romina è la classica ragazza che si potrebbe definire "pulita": più grande di me di qualche anno, fidanzata con lo stesso ragazzo da quando entrambi ne hanno memoria, la sua massima aspirazione nella vita è di sposarsi con lui e mettere su casa e famiglia.
Lei non è il tipo da toccarsi nel bagno pensando a degli sconosciuti (o peggio, a dei superiori) e saperlo mi fa sentire se possibile ancora più sporca. Il mio senso della morale, però, stranamente non rigira troppo il coltello nella piaga. Si limita a guardare Romina con tenerezza mista a pena e fare spallucce: sai che palle, vivere così?

Terminato di pulire e sistemare, saluto lei con due baci sulle guance, vado nello spogliatoio a prendere il cappotto e mi dirigo verso la cassa per salutare il capo.
Vengo pagata ogni volta a fine serata, quindi questa parte non la posso saltare, sebbene la voglia di infilare la porta senza una parola sia tanta.

Conosco Giacomo e non mi aspetto sconti da lui... in nessun senso.

Lui mi guarda da dietro la cassa aperta, poi fissa le banconote e sorride ancora con la sua faccetta sghemba.
- Questo è per il servizio in sala - dice, allungandomi venti euro.
La mia paga base è almeno il doppio, e mancherebbero comunque le mance, lui lo sa meglio di me. Vuole punirmi per quello che è successo decurtandomi la paga? Non faccio in tempo a chiedermelo, che lui parla ancora.
- Questo è per il servizio in cucina - aggiunge, porgendomi un'altra banconota da venti.
Chiude la cassa, io tiro un sospiro di sollievo e mi lascio andare ad un sorriso incerto. Ok, penso, mi ha tolto le mance. Ma almeno ha deciso di essere adulto e chiudere qui l'incidente senza togliermi altri preziosissimi soldi.
Capisco che mi sbaglio nel momento stesso in cui lo vedo tirare fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni, trarne un'ultima banconota - da 50 euro, questa volta (!) - e infilarmela nello scollo della camicetta, bloccandola contro la spallina del reggiseno.
- E questo è per il servizio in bagno. - chiude, fissandomi negli occhi fino al momento in cui scende dal bancone, si volta e rientra in cucina senza un'altra parola.
Mi riscuoto dal gelo in cui mi ha lasciato l'ultima frase di Jack, metto via i soldi ed esco, immergendomi nella fresca notte primaverile.
Mi incammino verso la casa di Edoardo, a circa un chilometro e mezzo dal Blue Star, e lascio che la passeggiata mi calmi i nervi che sento tesi a fior di pelle.
Per quanto appena accaduto con Jack o per quanto sta per accadere con Edo? Non lo so e non mi fermo ad analizzare.
So solo che, giunta a destinazione, sono risoluta a lasciare che Edo faccia quel che vuol fare senza mostrare troppa partecipazione, così magari mi lascerà per una più focosa.
A quest'ultimo pensiero - io che vengo accusata di essere troppo frigida - mi sembra di sentire la risata del mio capo echeggiare nel buio.

martedì 13 maggio 2014

Ventidue (4)

Torno a fissarlo negli occhi per un interminabile momento, i modi da bambolina spariti. Non ti tradire, mi dico, magari sta scherzando, magari si riferisce a tutt'altra cosa.
Magari non sei stata veramente vista dal tuo capo mentre ti masturbavi nel bagno del tuo posto di lavoro, prima dell'arrivo dei clienti.

- Ti sono stato a guardare finché non sei venuta, la porta di quel bagno ogni tanto non chiude bene.. -

Ok, il tuo capo ti ha veramente vista mentre ti masturbavi nel bagno.

Cerco di fare mente locale su che scena possa essersi trovato davanti agli occhi, sbirciando dalla porta semichiusa, e sento la vergogna arrivare come una doccia bollente e gelata al tempo stesso.
Arrossisco, pensando alla gonna abbassata fino alle caviglie, in un mucchietto scomposto assieme alle mutandine, alla mia mano sotto la camicetta arancione della divisa, che torturava nervosamente un capezzolo.

Avvampo, al pensiero del piede che avevo appoggiato alla ceramica della tazza per poter tenere le cosce spalancate al massimo, al movimento frenetico delle dita sul mio sesso nudo, ai glutei contratti per la tensione.

Mi aveva sentita ansimare, gemere?

Sento la mandibola cedere e rimango lì immobile, a guardarlo a bocca aperta, rossa come un peperone.
Jack si riscuote dal turbamento che l'aveva preso pochi istanti prima, recupera il suo sorriso sghembo e si scosta di lato per passare, lasciandomi ancora impietrita a fissare lo scaffale al quale lui era appoggiato un momento prima.
Una volta che lui è dietro la mia schiena, sento la sua mano accarezzarmi i capelli e lo percepisco mentre si china portando la bocca al mio orecchio, per sussurrarmi:

- Se ti becco di nuovo a toccarti, spalanco la porta e vengo a leccarti quella bella figa che ti ritrovi, ci siamo
intesi... Piccolina? -

Senza aspettare la mia risposta, si raddrizza ed esce a grandi passi dalla cucina.

Io sono letteralmente scioccata e, mentre con gesti automatici faccio partire il programma della lavastoviglie e prendo altri piatti puliti da portare in sala, continuo a ripensare a quel che è successo con Giacomo. Avvampo e raggelo alternativamente, oscillando tra la vergogna di essermi fatta  scoprire e l'eccitazione di aver suscitato una reazione così inaspettata nel mio principale. Se lui ci provasse, mi dispiacerebbe? No, affatto. Mi perdo per qualche minuto nella fantasia di lui che mette in pratica la sua sensuale minaccia...
C'è un particolare, però, che mi viene in mente soltanto ora: io sto assieme ad un altro.

Povero Edo, dovrei essere persa nel pensiero di lui e della nostra prima volta insieme, dovrei crogiolarmi nell'emozione e nell'imbarazzo di passare la notte con il mio ragazzo. E invece eccomi qui ad immaginare la scena del mio capo che fa irruzione nel bagno in cui mi sto toccando e termina con la lingua quello che io ho iniziato con le dita. Proprio una fidanzata modello.


Rientro in sala, prendo le altre stoviglie sporche  da portare in cucina. Siamo quasi a fine turno, la clientela è notevolmente diminuita, quindi Romina è più che sufficiente per gestire le ordinazioni. Jack è al banco, versa gli alcolici e chiacchiera di calcio con uno dei clienti fissi.

Quando i nostri sguardi si incrociano, lui rimane impassibile ed io cerco di fare lo stesso. Facciamo finta che non sia accaduto niente e non ci parliamo per il resto della serata.
Finalmente, anche gli ultimi clienti se ne vanno. Romina si unisce a me nel rigovernare il locale cucina mentre Giacomo si occupa della sala.

lunedì 14 aprile 2014

L'amore ai tempi del 2.0




Non mi aspettavo certo di far esplodere i server di Google con la mole di traffico generata da questo blog... però.

Feedback

Il bello è che le visite, i commenti, i complimenti persino, ci sono.
Però non lo sa nessuno, se non andassi a guardare bene non lo saprei nemmeno io. Alla faccia di "share the love"! Siamo nel 2014 e c'è gente che ha faticato per trovare l'indirizzo email.

Sono rimasta ad osservare per un po' prima di scrivere questo post. Le statistiche delle visite indicano numeri di tutto rispetto - per un blog neonato con un contenuto scabroso e pertanto non agilmente "spammabile" - ma le pagine di contatto languono.

Certo, mi son detta, che ti aspettavi? Se uno mette "mi piace" alla pagina di un blog erotico, poi è un attimo che gli fanno trovare il rossetto e la cuffietta da sissy sulla scrivania al lavoro.
Nemmeno io ho il "mi piace" sulla mia pagina, e sono su FB sotto pseudonimo. Per dire.
Bene, però io per questo preciso motivo ho lasciato la possibilità di commentare ogni post in forma anonima, senza bisogno di autenticarsi su Google plus o Blogger!
Quindi fatelo, per Giove, non lasciatemi messaggi ad alto tasso di farneticazione su piattaforme che non c'entrano nulla col blog ;)
Se volete chiedermi anticipazioni su come continua la saga di Ventidue, complimentarvi per il mio stile di scrittura, richiedere un certo tipo di racconti invece che altri, quando finite di leggere un post cliccate su "commento".
Anche perché, se sperate di farvi notare... non c'è modo migliore che solleticare il mio ego con un apprezzamento pubblico, per quanto anonimo, no?



Photo credits: Feedback di Giulia Forsythe

giovedì 10 aprile 2014

Ventidue (3)

La serata trascorre in maniera piacevole, come quasi tutte le serate passate a lavorare al Blue Star.
Quando ho cominciato, qualche mese fa, avevo appena lasciato un posto che chiamare bettola è un
eufemismo, quindi la clientela tranquilla e il personale cordiale del Blue Star mi sono sembrati il paradiso.
Certo, sempre di lavoro irregolare e sottopagato si tratta, ma perlomeno il mansionario non include cose come il sedersi in grembo ai clienti e doversi difendere da mani morte e occhiate lascive, "però mi raccomando dai sempre l'impressione di starci", per far contento il principale. Come dico al mio attuale capo, l'unica cosa di cui ci si può lamentare venendo a lavorare al Blue Star è la divisa: longuette nera, camicia arancio, décolleté mezzo tacco. In pratica, una hostess.
Per me che, tutta intera, non arrivo alla spalla di una hostess media, questa è una mise decisamente penalizzante. Ma nell'idea del proprietario, le persone al Blue Star dovevano arrivare in gruppo per ballare, bere e divertirsi, quindi le cameriere erano strumenti funzionali alla perfetta riuscita della serata. Dovevano
prevedere le esigenze dei clienti e risultare quanto più possibile invisibili. Il servizio migliore è quello che non si nota neanche, diceva.
Alla sua morte, il suo posto è stato preso dal figlio Giacomo, detto Jack, che è l'antitesi di suo padre ed avrebbe amato avere un pub chiassoso ed affollato, da governare a suon di frusta come una nave pirata.
Invece, si ritrova per le mani questo posto da fighette (a detta sua) e ha troppo timore reverenziale nei confronti della memoria del padre per cambiare lo status quo, quindi continua sulla stessa linea di condotta.
Mi piace Giacomo, e credo di piacere anche io a lui nonostante la differenza di età. In fondo, lui ha la testa di un adolescente scanzonato che ama il divertimento, per cui potei perfino essere io quella matura dei due.

Ritiro una pila di piatti sporchi e la porto in cucina, per caricare una lavastoviglie mentre Romina rimane in sala a disposizione per eventuali richieste. Giacomo, che fino ad allora stava parlando con dei clienti, si stacca dal gruppo e mi raggiunge nella cucina deserta.

- Lara, vuoi una mano con quei piatti?-

- No, grazie, capo. Piuttosto, avrei bisogno del detersivo per la lavastoviglie, puoi prendermelo tu? È sempre sullo scaffale in alto e ogni volta faccio una fatica...-

- È perché sei una nanetta! Persino la gonna della divisa che dovrebbe stare sopra il ginocchio a te arriva a metà polpaccio!-

Questa, adesso, me la paga cara e salata.

- Bravo, prendimi in giro - chioso, terminando di caricare la lavastoviglie e chiudendola con un colpo secco - Però sappi che, nell'essere piccolina, non ci sono solo lati negativi. -
Così dicendo, mi avvicino a lui che, appoggiato di schiena allo scaffale, mi guarda con un sorriso sghembo.

Quando termino la frase sono così vicina a lui che il mio seno è ad un centimetro dal premere contro il suo stomaco e, mentre nel parlare ho tenuto la testa un po' china, ora alzo lo sguardo verso di lui, lo fisso negli occhi e gli sorrido allusiva con le labbra leggermente imbronciate.
So che è una delle mie pose migliori e la uso quando voglio puntare sulle mie fattezze mignon per fare l'effetto "bambolina provocante". Capisco che non ero del tutto fuori strada nel pensare di piacere a Giacomo, perché il sorrisetto sarcastico sparisce sostituito da un'espressione turbata. Tengo lo sguardo allacciato al suo ancora un istante, poi lo riabbasso e sto per allontanarmi quando lui parla con una voce roca, di un'ottava più bassa:

- Ti ho vista prima, nel bagno. -

Mi paralizzo. Un brivido freddo mi corre lungo la schiena.
Cosa??

giovedì 3 aprile 2014

Amor, ch'a nullo amato amar perdona

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Inferno, canto V, 103-105



Giacché questo spazio porta il nome di Confessioni, mi confesso.
Ammetto di essermi persa in un paio d'occhi da cerbiatto, io che sono dura e (im)pura e graniticamente allergica ai morbidoni. Solitamente mi piacciono le persone che sanno quello che vogliono da me, che sia sesso, amicizia o scudisciate. E invece.

Esistono cerbiatti con gli occhi azzurri? Beh, tant'è. Deve essere il fascino dell'inesperienza, mi sono detta, poi ho realizzato.
Leggo, in fondo a quello sguardo ceruleo, una certa tanta (fanculo la falsa modestia) attrazione nei miei confronti,  che rimane inespressa per la poca pratica nell'esternazione dei sentimenti. Più in fondo dentro quegli occhioni però, dietro all'ingenua passioncella, c'è un qualcosa che parla al mio istinto predatorio in modi che non posso ignorare. Che dice "Strapazzami, ti prego, sono tuo", forse all'insaputa del proprietario stesso.
Qualcosa, quindi, che mi attrae.


In fondo, è vero che il cerbiatto è irresistibilmente affascinato dal serpente che lo mangerà1: lo guarda, si chiede cosa sia quel curioso animale strisciante, se costituisca una minaccia. Vorrebbe avvicinarsi, forse giocare.
Il serpente, d'altro canto, è a sua volta focalizzato sul cerbiatto, sempre e solo sul cerbiatto, su ogni fremito, su ogni singolo respiro, prende nota di ogni sfumatura di comportamento. Non pensa ad altro, per tutto il tempo che intercorre tra il momento di individuare la preda e quello di ingoiarla intera. Esiste, perciò, un istante breve ma eterno in cui predatore e preda sono avvinti l'uno all'altro, in un legame di attrazione così forte da essere quasi palpabile. Forte quasi come l'amore.

La preda cerca di convincersi che va tutto bene e il brivido2 che gli corre lungo la schiena è solo normale eccitazione… ma i suoi sensi sono completamente all'erta, sintonizzati sul serpente e sulle sue mosse. Sente il pericolo, è tesa.
Ed è questa tensione la cosa di cui ogni serpente che si rispetti si nutre, ciò di cui non può fare a meno - le occasioni così ghiotte non si sa quando ricapitano, sono da prendere al volo -, e viene alimentata dal serpente stesso al fine di poter continuare a nutrirsene.
Da fuori, le differenze con una relazione "normale" non si notano, le citazioni di Dante si sprecano e tutti fanno il tifo per il cerbiatto che, dicono, a furia di perseverare farà capitolare il cuore della sua bella. Quando sei amato, non puoi che riamare a tua volta, no? Quando c'è una tale elettricità tra due persone, non può che fare da scintilla nella polveriera dei sentimenti. Certo.

Ma per quanta elettricità, scintille o fiamme dirompenti ci possano essere, la verità è che il finale è sempre quello. E per il povero cerbiatto fagocitato c'è solo la (magra?) consolazione di poter diventare parte integrante dei tessuti vitali del serpente, saziandolo fino al prossimo pasto.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona? No, thanks.
Macaroni ... m'hai provocato, e io te distruggo.



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Note semiserie, anzi per niente
1. In quale latitudine un cerbiatto e un serpente costrittore possono esistere? Nessuna. Ok, nella prima stesura il mammifero era un topo, ma iniziare con "Ammetto di essermi persa in un paio d'occhi da topo" era tremendamente poco poetico per il post e altrettanto poco lusinghiero per il proprietario dei succitati bulbi oculari.
2. E va bene, a questo punto lo dico, a costo di sputtanarmi tutta la raffinatezza del discorso fatto finora. Rileggendo sono stata colta da un'illuminazione e ho capito che il mio inconscio non solo ha partorito questa delirante metafora del serpente e del topo, ma intendeva questo topo. Ha gli occhi azzurri, dice "Strapazzami", gli tremano i baffi... ho voglia a truccarlo da cerbiatto!
AAA cercasi analista molto molto bravo...

lunedì 31 marzo 2014

Ventidue (2)


È un po’ che indulgo in questa fantasia, un ragazzo che non conosco e di cui non posso vedere il viso – ora perché arriva da dietro le mie spalle, ora perché è lui incappucciato, ora perché io sono bendata – mi coinvolge in un rapporto sessuale rude ma intensissimo. Eccolo, il familiare brivido che scende lungo la spina dorsale e mi riscalda i lombi, bagnandomi le mutandine. Sorrido al nulla, imbarazzata per l’impudicizia della situazione… sono china a pulire una seduta e immagino lui che da dietro mi si appoggia contro, sfregando la sua erezione contro i miei slip ormai fradici. Oddio, sono così bagnata che potrebbe sollevarmi la gonna, spostarli da una parte ed infilarmelo dentro con un solo movimento, riempiendomi di sé fino a farmi gridare.

- Lara? Quando hai finito con i tavoli, torna in cucina a lavare i piatti! – la mia collega Romina mi richiama all’ordine, strappandomi alle mie fantasticherie.

Dannazione, sono passata da un estremo all’altro. Termino brevemente la pulizia della sala e mi dirigo verso la cucina per riordinare anche quella prima dell’apertura al pubblico. Prima, però, una puntatina in bagno. Devo farlo adesso, altrimenti rischio di rompere qualcosa per la tensione accumulata. Rapida, apro la cerniera e tiro giù le mutandine, insieme alla gonna nera della divisa.

Con il pollice, comincio ad accarezzare la clitoride premendo piano con la base della falange e con il medio allargo le piccole labbra, facendo scivolare tutto il dito all’interno. Tengo un ritmo delicato all’inizio, poi non resisto più e comincio a massaggiare più intensamente. Penso a lui, al mio sconosciuto senza volto, lo immagino mentre mi afferra i capezzoli con forza. Con la mano sinistra mi insinuo sotto il reggiseno per trovarne uno, che stringo tra il pollice e l’indice fin quasi a farmi male. La scossa che mi attraversa mi serra la mandibola, facendo affondare i denti nel labbro inferiore, e scende fin là dove la mia mano destra sta mantenendo il suo ritmo serrato, con non più uno solo ma con addirittura due dita infilate dentro, tra le mie gambe oscenamente spalancate.

E lui è dietro di me, le sue mani forti, il suo respiro lievemente affannoso per l'eccitazione, pronto a vedermi crollare tra le sue braccia in preda al più intenso degli orgasmi.

Sento finalmente le pareti della vagina contrarsi stringendomi le dita, sento il piacere che raggiunge il culmine e trattengo i gemiti sordi che mi salgono alla gola, esplodo nell'estasi e la lascio scorrere dentro di me con le sue ondate.
Indugio ancora qualche istante, giusto il tempo di godermi il ritmo delle ultime contrazioni, prima di togliere la mano e cominciare a rivestirmi.

Di nuovo in divisa, mi dirigo verso il lavandino per lavarmi le mani ed esco dal bagno per tornare al mio lavoro, soddisfatta e finalmente rilassata.

giovedì 27 marzo 2014

Ventidue (1)


- E va bene, Edo. Ci vediamo a casa tua quando stacco dal lavoro. Sì, rimango. Ma solo perché i miei sono fuori! Non ti ci abituare. –

Chiudo la comunicazione e finisco di allacciarmi il grembiule. Alla fine, ce l’ha fatta a fottermi, penso. È riuscito a incastrarmi per farmi dormire da lui. Chissà se ce la farà a fottermi anche di persona, stasera.

Sogghigno alla mia stessa battuta, ben conscia che Edoardo da quel punto di vista non ha nessun problema. Se fosse stato per lui, l’avremmo già fatto decine di volte, il vero problema sono io. Ogni volta che si arriva al punto cruciale, continuo ad addurre scuse su scuse per non passare al livello successivo. Non riesco a spiegarmelo o a capire la motivazione, ma non riesco nemmeno a lasciare che lui mi sfili le mutandine, o ci insinui le dita dentro. Mi piace baciarlo, farmi toccare. Mi piacciono le sue mani pressanti sulle labbra, sul seno, sulla schiena e sulla curva dei glutei. Non appena lui si spinge fino all’interno delle cosce, però, mi blocco e finisco per ritrarmi. Anche dargli piacere non mi riesce come vorrei; finché ha ancora indosso i pantaloni, mi sento eccitata ed eccitante da morire, non appena li toglie ridivento una scolaretta timida. Toccarlo, m’intimorisce; di baciarlo come lui vorrebbe non se ne parla. Stasera, però, non potrò più svicolare con la scusa di avere il coprifuoco o di dovermi svegliare presto. Questa sera, ci sarà la resa finale dei conti e, finalmente, farò sesso con Edoardo.

Interrompo per un attimo il flusso dei pensieri per terminare di affettare il pane per l’aperitivo e portare i cestini ricolmi al tavolo principale del buffet. Rientrando nelle cucine per preparare il resto, mi rendo conto di una cosa: nemmeno prima di perdere la verginità ero così nervosa.

Il mio ragazzo di allora, tale Andrea, era un rozzo aspirante ballerino di breakdance con un pessimo senso dell’igiene personale, ma quando aveva voluto che mi sdraiassi in mezzo al prato, quella sera al parco, non avevo fatto storie. Anzi, non sentito dolore alla penetrazione, avevo persino partecipato al rapporto venendo incontro alle sue spinte. Tant’è vero che dopo la fine, il primo commento di lui – sempre squisitamente elegante – era stato: sicura che fossi veramente vergine prima?
Comunque, anche i rapporti a seguire, con Andrea e con gli altri prima di Edo, non mi avevano mai causato particolari remore o problemi.

Il solo pensiero che lui mi chieda di toccarlo o cerchi di toccarmi a sua volta, invece, mi getta nell’ansia. Vorrei che lo facesse, sono sicura che io proverei un enorme piacere tra le sue braccia ma, nonostante la curiosità e la voglia, continuo a bloccarmi sul più bello. Provo a immaginarmi mentre lo facciamo, lui sdraiato tra le mie gambe aperte, la punta del suo pene che mi accarezza la clitoride e si bagna dei miei umori prima di penetrarmi. Tecnicamente, tutto perfetto, se non fosse che persino nel sogno ad occhi aperti mi ritraggo da lui.

Frustrata, continuo a sfrecciare dentro e fuori dalla cucina alla sala per sistemare le pile di piatti, le posate, il cibo e il vasellame vario a disposizione dei clienti. Mentre prendo lo straccio e comincio a passarlo sui tavoli e le sedie, decido di pensare ad altro, per evitare di arrivare troppo inacidita al momento dell’ingresso delle persone nel locale o, peggio, alla fine del turno. Basta Edoardo quindi, ci vuole qualcosa che mi prenda abbastanza da togliermelo dalla testa. Sogghigno ancora. Benvenuto, uomo senza volto.

domenica 23 marzo 2014

Perché ho aperto questo blog (e voi invece non avreste dovuto farlo)


Intendo aprire questo blog, non aprirne uno vostro. Dovreste aprire il vostro blog, se vi va. Lungi da me impedire a chicchessia di seguire il suo piacere, sarebbe quanto meno incoerente.

Ecco un primo motivo: sono inopportuna, dico e scrivo quello che voglio senza preoccuparmi troppo di quel che pensano gli altri. E sono logorroica, come avrete intuito da queste 360 battute spese a dire assolutamente niente riguardo al mio nuovo blog.

Non saprei cosa aggiungere a parte che non dovreste aprirlo, come ho già scritto (difetto numero tre: ripetitiva). E già questo è abbastanza stupido, perché se siete arrivati fin qui, vuol dire che il blog l’avete già aperto (aggiungiamo lapalissiana al computo? Bene, siamo a quattro).

Visto allora che siete già qui, e avete dato prova di capacità di sopportazione non comuni, consigliarvi di chiudere la pagina mi costerebbe un dolore immenso. Non si escludono tali preziose – e stoiche! – persone dalla propria vita, seppur virtuale.

Darvi dei buoni motivi per restare, però, vorrebbe dire sia andare fuori tema sia rischiare una pericolosa deriva autocelebrativa compatibile solo con comizi leghisti e fashion blog (numero cinque: inopportuna smemorata).

Pertanto, vi propongo un patto: io continuo, come da titolo, ad elencare i motivi per cui sarebbe meglio non seguirmi in questa bizzarra avventura; se poi voi, una volta arrivati in fondo alla pagina, scoprite che volete farlo comunque, allora fatelo - sono buona e ve lo concedo - e sappiate che il vostro piacere nel leggere aumenta esponenzialmente il mio nello scrivere.

Non dovreste seguire il mio blog perché parla appunto, in estrema sintesi, di piacere. E questo è pericolosissimo, dato il nostro tessuto sociale attualmente così intriso di divieti.

I temi trattati, il linguaggio utilizzato nei post saranno pesanti (difetto numero sei: sono scurrile e volgare). Sì, si parlerà di sesso in maniera esplicita e sì, anche di dominazione, bondage e sado-masochismo. Non in maniera fine a se stessa però, non ci sarà solo quello. Di base sarà un blog letterario, l’ho fortemente voluto per questo e ci saranno i miei racconti organizzati in “filoni”, ma ci saranno anche post di riflessione generalizzata sui limiti morali ed etici che vengono imposti ed imponiamo noi stessi al nostro godimento, nel senso più esteso del termine.

Insomma, da queste parti si tromba tanto, ma si pensa altrettanto!

A tutti quelli che sono già scappati, auguro buon divertimento con qualcosa di meno ostico.

A tutti quelli che scapperanno sono arrivati alla conclusione… benvenuti a bordo, cercate di non perdervi mentre trovate voi stessi.