giovedì 10 aprile 2014

Ventidue (3)

La serata trascorre in maniera piacevole, come quasi tutte le serate passate a lavorare al Blue Star.
Quando ho cominciato, qualche mese fa, avevo appena lasciato un posto che chiamare bettola è un
eufemismo, quindi la clientela tranquilla e il personale cordiale del Blue Star mi sono sembrati il paradiso.
Certo, sempre di lavoro irregolare e sottopagato si tratta, ma perlomeno il mansionario non include cose come il sedersi in grembo ai clienti e doversi difendere da mani morte e occhiate lascive, "però mi raccomando dai sempre l'impressione di starci", per far contento il principale. Come dico al mio attuale capo, l'unica cosa di cui ci si può lamentare venendo a lavorare al Blue Star è la divisa: longuette nera, camicia arancio, décolleté mezzo tacco. In pratica, una hostess.
Per me che, tutta intera, non arrivo alla spalla di una hostess media, questa è una mise decisamente penalizzante. Ma nell'idea del proprietario, le persone al Blue Star dovevano arrivare in gruppo per ballare, bere e divertirsi, quindi le cameriere erano strumenti funzionali alla perfetta riuscita della serata. Dovevano
prevedere le esigenze dei clienti e risultare quanto più possibile invisibili. Il servizio migliore è quello che non si nota neanche, diceva.
Alla sua morte, il suo posto è stato preso dal figlio Giacomo, detto Jack, che è l'antitesi di suo padre ed avrebbe amato avere un pub chiassoso ed affollato, da governare a suon di frusta come una nave pirata.
Invece, si ritrova per le mani questo posto da fighette (a detta sua) e ha troppo timore reverenziale nei confronti della memoria del padre per cambiare lo status quo, quindi continua sulla stessa linea di condotta.
Mi piace Giacomo, e credo di piacere anche io a lui nonostante la differenza di età. In fondo, lui ha la testa di un adolescente scanzonato che ama il divertimento, per cui potei perfino essere io quella matura dei due.

Ritiro una pila di piatti sporchi e la porto in cucina, per caricare una lavastoviglie mentre Romina rimane in sala a disposizione per eventuali richieste. Giacomo, che fino ad allora stava parlando con dei clienti, si stacca dal gruppo e mi raggiunge nella cucina deserta.

- Lara, vuoi una mano con quei piatti?-

- No, grazie, capo. Piuttosto, avrei bisogno del detersivo per la lavastoviglie, puoi prendermelo tu? È sempre sullo scaffale in alto e ogni volta faccio una fatica...-

- È perché sei una nanetta! Persino la gonna della divisa che dovrebbe stare sopra il ginocchio a te arriva a metà polpaccio!-

Questa, adesso, me la paga cara e salata.

- Bravo, prendimi in giro - chioso, terminando di caricare la lavastoviglie e chiudendola con un colpo secco - Però sappi che, nell'essere piccolina, non ci sono solo lati negativi. -
Così dicendo, mi avvicino a lui che, appoggiato di schiena allo scaffale, mi guarda con un sorriso sghembo.

Quando termino la frase sono così vicina a lui che il mio seno è ad un centimetro dal premere contro il suo stomaco e, mentre nel parlare ho tenuto la testa un po' china, ora alzo lo sguardo verso di lui, lo fisso negli occhi e gli sorrido allusiva con le labbra leggermente imbronciate.
So che è una delle mie pose migliori e la uso quando voglio puntare sulle mie fattezze mignon per fare l'effetto "bambolina provocante". Capisco che non ero del tutto fuori strada nel pensare di piacere a Giacomo, perché il sorrisetto sarcastico sparisce sostituito da un'espressione turbata. Tengo lo sguardo allacciato al suo ancora un istante, poi lo riabbasso e sto per allontanarmi quando lui parla con una voce roca, di un'ottava più bassa:

- Ti ho vista prima, nel bagno. -

Mi paralizzo. Un brivido freddo mi corre lungo la schiena.
Cosa??

1 commento: