domenica 10 gennaio 2016

Ventidue (8)


Mi sveglio da un sonno profondo e senza sogni, stanca come se non fossi mai andata a dormire. La sera precedente è un ricordo vago, ancora avvolto nelle nebbie di Morfeo, fin quando non mi alzo e mi dirigo in bagno.

Capire che questo è il mio riflesso nello specchio è uno shock: non sono io, penso, non posso esserlo. Non con quelle labbra gonfie e quel livido sullo zigomo!
Rimango attonita per un momento, poi faccio un respiro profondo e prendo il flacone del fondotinta.

La giornata trascorre abbastanza pigramente, come una qualsiasi giornata di fine anno scolastico per una che non ha paura della bocciatura. Compagni e professori si soffermano per un momento con lo sguardo sul mio volto ma, un po' per sano disinteresse e un po' perché Santa Shiseido è con me e nasconde il peggio alla vista, passano oltre senza fare domande. Tempo un'ora e non mi ricordo nemmeno più di avere dei segni.

Tornando a casa, sono improvvisamente assalita dall'ansia. I battiti accelerano, il respiro si fa affannoso, comincia a girarmi la testa. Che succede?

Cerco di tranquillizzarmi e, concentrandomi sul qui e ora, riporto il panico sotto i livelli di guardia.
Mangio da sola davanti alla televisione, come al solito, poi entro in camera e do un’occhiata all'agenda. Non ho niente di urgente, per domani, e anche se l’avessi, non sarebbe così importante. Decido di passare il tempo leggendo il manga che ho comprato ieri, ma ho lasciato a metà per andare al lavoro.

Buffo come sia stato solo ieri, eppure mi sembrino trascorsi interi secoli da allora; a dirla tutta, mi sembra di non essere nemmeno più la stessa persona che ha acquistato questo volumetto che tengo in mano.

Mi sento distaccata da tutto, esule in un mondo che non mi appartiene, sebbene sia circondata dalle cose che chiamo mie.

È una sensazione strana, come un fluttuare morbido al di sopra delle miserie umane. Non cessa nemmeno quando, con un'occhiata all'orologio, noto che è ormai ora di alzarsi dal letto su cui mi ero sdraiata per leggere e sono invece rimasta a fissare una copertina.

Mi vesto canticchiando, cosa insolita per me che voglio sempre, disperatamente, apparire al meglio. Anziché tirare fuori mezzo armadio e spulciare alla ricerca di qualcosa che mi faccia sentire meno goffa, vado dritta a prendere una blusa e una gonna svasata e li indosso. Abbino un sandalo con la zeppa non altissima e vado in bagno a truccarmi, gettando uno sguardo allo specchio del corridoio mentre passo. Non posso fare a meno di sorridere per il risultato, mi piaccio.

Esco di casa e mi tuffo nel sole pomeridiano, con l’animo più leggero che mai. Quando ho deciso che avrei accettato il bizzarro invito di Alessandro? In realtà, non è stata una vera è propria decisione. Lo sento ineluttabile, scritto, come se nemmeno si possa immaginare un universo parallelo in cui io non vado da lui. Non è una cosa giusta, né tantomeno una cosa sbagliata… semplicemente, è.

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